POVE DEL GRAPPA E GLI SCALPELLINI 

 

PARTE SECONDA: LE ROCCE, LE CAVE,

GLI STRUMENTI , LE LAVORAZIONI

di Vasco Bordignon


1. LE ROCCE: GENERALITA’

La pietra in senso generico e la roccia in senso più specifico convivono da sempre con l’uomo e la sua vita. E’ un connubio che si esprime dall’antichità fino ai giorni nostri e interessa molti aspetti della vita umana che accenniamo con breve pennellate: l’aspetto religioso con le prime materializzazioni di simboli, di cattedrali, chiese, santuari, altari, statue…; l’aspetto difensivo-offensivo con le prime armi fatti di schegge, le lapidazioni, le grandi cinte murarie e i castelli  e  le torri, le macchine lanciatrici di pietre (pietroboli), le protezioni antiaeree, la rete delle trincee durante le guerre di posizione, …; l’aspetto civile con le vie di comunicazione ad es. le strade, le grandi difese sugli argini dei fiumi e dei torrenti o delle onde marine, i grandi edifici della politica e delle istituzioni, i palazzi delle grandi città storiche patrimonio delle bellezze italiche, i monumenti dei grandi della storia o gli ossari degli orrori della guerra…; l’aspetto personale della vita famigliare nella casa a partire dalla sua recinzione e dal  suo abbellimento esteriore alla pavimentazione ricca e colorata, alla zona di cottura e di pulizia della cucina (secchiaio), alle vasche del bucato o della raccolta delle acque, all’intimità del bagno e del benessere personale… fino al termine della vita terrena con la tomba che ci ricorda … Vita, morte, … e pietra.

Orbene in una cava, oltre agli scalpellini, troviamo queste pietre, queste rocce che saranno estratte, trasportate, lavorate.

Sulle rocce pertanto è necessario qualche accenno.

Le rocce sono definite come aggregati di minerali. Di frequente vi è un minerale dominante e altri sono presenti in tracce o in deboli percentuali.

Secondo la petrografia, la scienza che le studia, le rocce, in base alle modalità con cui si formano, sono divise in tre gruppi principali:

_X_INTERNET_ROCCIA_VULCANICA_-_OSSIDIANA_1. rocce magmatiche o rocce ignee: si originano per il consolidamento e per la cristallizzazione di una massa fusa fluida (=magma) presente o formatasi all’interno della crosta terrestre. A loro volta vengono suddivise in effusive se si formano  da magma vulcanico  emesso in superficie (ad es. basalto, pomice, ossidiana) e in intrusive quando il consolidamento e la cristallizzazione del magma  avviene al di sotto della superficie terrestre (es. granito, diorite, sienite).

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2. rocce sedimentarie: originano per compattazione e cementazione di sedimenti di origine detritica, chimica e organica.  Queste rocce rappresentano il risultato finale di un lungo processo che inizia dalla alterazione e dalla disgregazione di rocce preesistenti (siano esse magmatiche, metamorfiche o sedimentarie già formatasi), con il trasporto dei materiali così prodotti in genere su fondali marini o nel profondo di grandi laghi dove si depositano e si compattano. Rappresentano il 75% delle rocce emerse  sulla superficie terrestre. Si presentano generalmente in strati.

Vengono suddivise 

 – in rocce sedimentarie clastiche quando derivano da materiale roccioso preesistente e comprendono sia i sedimenti sia le rocce derivanti dalla litificazione dei sedimenti : dalle ghiaie si ottengono i conglomerati; dalle sabbie si ottengono le arenarie; da sedimenti minerali argillosi si ottengono le argille; 

 – in rocce sedimentarie di deposito chimico da sedimentazione di sostanze chimiche sciolte in acqua ad es. i calcari, il travertino, le dolomie non organogene, le evaporiti come il gesso e il salgemma, ecc.; 

 – in rocce sedimentarie di origine organica da sedimentazione di materiale organico quale scheletri, conchiglie e gusci di organismi che vivono in ambiente acquatico, ad es . le scogliere coralline, i calcari bituminosi, la maiolica (calcare organogeno), le selci (rocce silicee non detritiche), le dolomie organogene. Anche i carboni e gli idrocarburi solidi (asfalto, bitume, liquidi (petrolio) e gassosi(metano) sono derivati dalla trasformazione organica. 

_X_INTERNET_-_ROCCE_METAMORFICHE_-_MARMO_CARRARA 3. rocce metamorfiche: sono quelle la cui composizione mineralogica ha subito importanti trasformazioni a seguito dell’azione di alte temperature e di forti pressioni.  I processi metamorfici avvengono in genere a grandi profondità della crosta terrestre su rocce di qualsiasi tipo.  Pressione e temperatura agiscono in concomitanza ma uno dei due fattori può essere prevalente sull’altro inducendo sulle rocce effetti diversi. Possiamo distinguere 

 – Metamorfismo regionale interessa una grande estensione di rocce in aree sottoposte a movimenti orogenetici che inducono un aumento generalizzato di temperatura e di pressione, dando origine a nuove e particolari tessiture. Il metamorfismo da carico è un tipo particolare di questo metamorfismo regionale e dipende dall’aumento di pressione indotto dal peso delle rocce sovrastanti (anche alcuni chilometri di spessore) in zone sottoposte a movimenti orogenetici. Dà origine a nuovi minerali e a nuove strutture. Intorno all’intrusione si viene a formare un aureola di contatto e si creano nuovi minerali e nuoive strutture.

 – Metamorfismo di contatto: coinvolge zone con spessori di pochi metri come di centinaia di metri: questo metamorfismo è determinato dall’aumento di temperatura per intrusioni magmatiche. Intorno all’intrusione si viene a formare un’aureola di contatto creando  nuovi minerali e nuove strutture.

 – Metamofismo dinamico: causato dall’aumento di pressione in prossimità di zone di fratture o di faglia (aree tettoniche). Interessa zone molto limitate. Origina nuove strutture e tessiture. Vengono suddivise in 

 a- rocce metamorfiche scistose quando evidenziano la proprietà di dividersi in lastre o lamelle. Comprende gli argilloscisti, es. l’ardesia, rocce con proprietà di dividersi in sottili lastre, talora usate come tegole;  gli scisti :  rocce cristalline caratterizzate dal fatto che i singoli minerali sono visibili a occhio nudo; le gneiss: rocce scistose a grana grossa con granuli che superano i 2 mm di diametro;  le filladi:  rocce che si dividono facilmente in sottilissime lastre di aspetto fogliaceo 

 b- rocce metamorfiche granuliti che comprende i marmi (o calcari cristallini) derivati dal metamorfismo di rocce calcaree; le quarziti costituite esclusivamente o principalmente da quarzo; le cornubianiti e gli skarn derivati da metamorfismo di rocce sedimentarie detritiche.

L’utilizzo commerciale delle rocce si basa su criteri diversi quali la lucidabilità, la lavorabilità, ecc.  distinguendo 

 – pietre : rocce compatte o porose, non  lucidabili = basalto, trachite, conglomerato, arenaria,  argilla, tufo, calcare tenero, dolomia, ecc. 

 – graniti : rocce resistenti di natura silicatica, lucidabili = granito, diorite, porfido, gneiss, ecc. 

 – marmi:  rocce compatte di natura carbonatica, lucidabili = marmo, calcescisto, calcare compatto 

 – travertini: rocce ricche di cavità, compatte, lucidabili come il travertino

 

2. LE ROCCE DI POVE e DINTORNI

a. In base ai documenti rinvenuti

1895 – I vari tipi di roccia estratti nella cave di Pove (le più vicine all’abitato di Pove erano quelle di Pragolin (un tempo Prà Gollin)  e del Monte Gusella) nel 1895 come riferisce il Signori citando l’Elenco descrittivo dei marmi delle cave esistenti nei dintorni di Bassano del Crivellari, erano riportando la nota n.99 di pag.210:

“La macchia di Pove era un calcare ammonitico, estratto in località Priarola: gli strati maggiori raggiungevano i quattro metri quadrati per cinquanta centimetri di grossezza. Il corsoduro era un calcare estratto in località Campaniletto, e raggiungeva le dimensioni di sei metri quadrati per metro e mezzo di spessoreIl guaregno_-_OK___MARMO_-_CORSODURO_-_OK_-__DSCN0042era pure un calcare scavato in località Prà Gollin , dalle dimensioni di tre metri quadrati per trentacinque centimetri di spessore. Sempre a Prà Gollin si estraevano anche il biancone delle dimensioni massime di quattro metri di superficie per cinquanta centimetri di grossezza, ed un’altra macchia di Pove,  calcare titonico variegato in lastre di cinque metri quadrati e cinquanta centimetri di spessore”. In questo manoscritto non vi è una descrizione morfologica di questi marmi.


1930 – Da Ramiro Fabiani (1930)  riporto esattamente quanto scrive in riferimento al nostro argomento:

_-_OK___MARMO_biancone_x_internet_233_copia“ Dal Cretaceo inferiore si estrae quasi esclusivamente del marmo bianco o bianco avorio, dettoBiancone, che talora (Crespadoro, Pove) può prestarsi per fornire pietre litografiche, mentre è usato generalmente per gradini e balaustre, di preferenza per interni, essendo di frequente gelivo. I più importanti giacimenti di marmi del Secondario si trovano nell’estrema propaggine sud-ovest del massiccio del Grappa, cioè nel monte La Gusella e poi in numerosi punti dell’Altipiano dei Sette Comuni. I giacimenti del M. La Gusella, son noti sotto la denominazione di S.Felicita quelli sul versante est e diPove quelli sul versante opposto. Rappresentano ciascuno l’affioramento sui due lati di una stessa pila di strati del Giurese medio e superiore e del Cretaceo inferiore, la quale , con disposizione pressoché tabulare, costituisce da circa quota 700 in su il monte La Gusella.  Dalla parte superiore dei giacimenti si trae il Biancone, immediatamente sotto il Barettino che è bianco-celestino (strati di passaggio dal Cretaceo inferiore al Giurese più elevato) con una potenza complessiva di una decina di metri e in strati spessi da cm 20 a cm 60. Sotto vengono marmi rosati mandorlati e gialli nel gruppo di Pove, mentre dal lato della valle di S. Felicita sotto al “Barettino” giace il Guaregno color rosso-vinoso, potente di 7 m. e in strati da 25 a 45 cm di spessore. Sotto ancora con una potenza di m.12, viene il tipo Macchia Rossa, color rosso mattone e chiazze più chiare, molto simile al Rosso di Verona, ma più compatto.”

…  “Pove. Le cave sono aperte da molti anni sul versante montuoso sopra all’abitato di Pove, alla quota di circa 700 metri. Vi si sfrutta il solito fascio di marmi lastrolari_-_OK___MARM0_-_campaniletto_BASSANO_OSSARIO_-_CAMPANILETTO_-_DSCN0273_copiadel Cretaceo e del Giurese. Il gruppo di cave di Pove si può considerare diviso in 4 cantieri denominati:Del giallo, Campaniletto, Biancone e Barettino. Una via di lizza di Km 3 circa (mulattiera) allaccia le cave col paese di Pove.  Vi lavorano affittuari, essendo le cave di proprietà comunale. Le escavazioni si estendono per circa 500-600 metri. Si pensa collegarle con la strada del Grappa per eliminare la lizzatura e trasportare i marmi con carri e autocarri. La cava Campaniletto in regione Monte Gusella è esercitata dalla ditta Alberton Pietro e Marco e produce in media mc 200 di marmo annui. La Cava Biancone è esercita da Marcadella Domenico. La cava barettino è esercita da Zanchella (leggasi Zanchetta) Francesco. Oltre le cave predette per marmi, nello stesso territorio, in località Montagnola, trovasi aperta una cava che produce pietra da costruzione, esercita da Favero Gaspare.”

1966.Riportiamo da “Marmologia. Dizionario di marmi e gramiyi italiani ed esteri” di Pieri Mario edito nel 1966 esattamente le voci relative a questo argomento:

“ POVE DEL GRAPPA (Vicenza). Vi sono cave di calcare “Pietraforte” di campaniletto, di piombino, di Verdello, di giallognolo e di biancone. V. Piertraforte di Pove

PIETRAFORTE DI POVE. Così è detto un più o meno brecciforme calcare di aspetto marmoreo, localmente distinto in Campaniletto, Piombino, Verdello, Giallognolo, Biancone. Si escava nell’omonima località in prov. di Vicenza (Pove del Grappa) a qualche chilometro da Bassano sulle più basse pendici del M. Grappa. Questi materiali appartengono al sistema Giurassico dell’Era Mesozoica o Secondaria ed hanno le caratteristiche dei marmi dell’altopiano di Asiago.

BIANCONE. Nome che si dà al calcare compatto di Nuvolera (Brescia), di Treviso, di Asiago e di Crespadoro (Vicenza), di Pove, di Romano d’Ezzelino, ecc. Il fondo di quello escavato in questa ultima località, presso le pendici del M. Grappa, è bianco con rare venature chiare.

CAMPANILETTO. Nome dato ad una varietà della Pietraforte di Pove (V.) escavata presso Bassano (Vicenza) sulle pendici del M. Grappa. Si tratta di un calcare compatto marmoreo, talvolta brecciforme.

GIALLOGNOLO DI POVE. (Vicenza). E’ il nome di una delle varietà della Pietraforte di Pove, calcare compatto più o meno brecciforme, scolpibile e lucidabile. V. Pietraforte di Pove.

PIOMBINO. Nome dato alla varietà di Pietraforte di Pove (V.), escavata presso Bassano (Vicenza) sulle pendici del M. Grappa. Si tratta di un calcare compatto marmoreo, talora brecciforme.

VERDELLO. Varietà di pietraforte di Pove (V.) , escavato presso Bassano, sulle pendici del M. Grappa in prov. di Vicenza.”

Come si può rilevare, in queste tre fonti documentali ci sono  delle differenze sulla presenza di tipi di marmo, possibile anche per una diversa denominazione degli stessi. E’ difficile oggi identificare con certezza quali potevano essere le varie identità marmoree, celate sotto nomi diversi.

Certamente è interessante dal punto di vista quantitativo (vale a dire l’entità del banco e del corsi) nelle descrizioni del Crivellari e del Fabiani.  Le voci del Pieri mi sembrano un po’ devianti specie sulla denominazione generale di “Pietraforte di Pove” e di specifiche voci quali Giallognolo di Pove e Piombino.

b. In base alla tradizione orale locale

Ho cercato delle fonti che in qualche modo mi potessero dare notizie al riguardo o tramite esperienza diretta o tramite tradizione orale da padre a figlio. Attraverso alcuni amici ho potuto contattare e parlare con due autorevoli persone che io chiamerei “artisti del marmo”: Kobe (Giacomo) Todesco e Natalino Andolfatto i quali mi hanno confermato  che i marmi provenienti dalle cave di Pove, per quanto appreso dai loro padri,  erano sicuramente

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Ho riportato, da sx a dx , le immagini di campioni fornitimi da Kobe Todesco ad eccezione del Campaniletto

– il Biancone: calcare compatto bianco, simile al marmo di Carrara

– il Corsoduro: calcare di color biancastro o con striature verde chiaro

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– il Campaniletto: calcare bianco con sfondo verdino. Ho riportato l’immagine di quanto resta di questo marmo con cui sono stati realizzati gli stipiti e i rosoni del Tempio Ossario

– il Varegno (chiamato anche Guaregno come si trova scritto in una tabella presso la Cava Didattica, ahimé in condizioni di abbandono) : calcare compatto con fondo rosato uniforme, più o meno intenso: vari altari sono esempi di questo marmo

– il Macion di colore sul marroncino o sull’aranciato: probabilmente è uno dei marmi più antichi locali, basti pensare che le colonne del porticato di Piazza Libertà sono di macion, e  sono antichissime.

Leggendo gli scritti del Crivellari e del Fabiani, i miei due illustri “consulenti” ricordano sicuramente il Barettino, non riescono a identificare con quanto sopra presentato le due macchie descritte dal Crivellari come pure l’identificazione del Guaregno e di altri marmi descritti dal Fabiani o dal Pieri. Mi escludono che il varegno si chiamasse anche guaregno, come ho scritto sopra riportando la tabella del Comune di Pove; tuttavia la descrizione è simile.

c. Produzione

Nel 1914 la produzione annua di marmo nel territorio vicentino è così distribuita :

(raffaello vergani l’utilizzazione del sottosuolo storia dell’altipiano dei settecomuni pag409volume I)


Tonnellate

percentuale

Valle del Chiampo

17310

89,82

Sette Comuni

1020

5,29

Romano d’Ezzelino

540

2,80

Conco

200

1,03

Pove

200

1,03

Il Fabiani riporta nel suo testo del 1930 per la cava Campaniletto una produzione di 200 mc annui. Non dice nulla delle altre cave descritte.

L’abbandono delle cave a Pove non avvenne solo per l’emigrazione di tanti scalpellini (come vedremo) ma anche per la maggiore coltivazione delle cave dell’Altopiano di Asiago molto più redditizie dal punto di vista economico per la caratteristica di una maggiore consistenza dei corsi marmorei più adatti alle nuove tecnologie (filo elicoidale ad es.).  Infatti i corsi dei marmi povesi erano modesti e risultavano adatti a lavorazioni di dimensioni modeste….. Questo lo vedremo anche nella tecnica di estrazione in cava.



3. Gli strumenti del cavapietre

 

e dello scalpellino


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Gli strumenti principali nelle cave di Pove erano principalmente : la punta o subbia, la mazzetta o mazzuolo,  la martellina, la gradina, l’ungetto e vari tipi di scalpelli, oltre ad altri per la lavorazione delle pietre in base alla richieste commerciali (sopra disegno di Kobe Todesco).

__________01-PUNTE_O_SUBBIE_-_poeve_e_scalpellini_

__________02-SCALPELLI_-_poeve_e_scalpellini_

__________05-SCALPELLO_RICURVO_-_poeve_e_scalpellini___________06-SCALPELLO_A_TESTA_ROTONDApoeve_e_scalpellini_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PUNTA o SUBBIA: E’ un ferro con una semplice punta, preferibilmente di forma piramidale.  La sua lunghezza dipende dal solco da realizzare.  Importante l’inclinazione della punta e gli spigoli che la determinano. Utensile impiegato sia per l’estrazione, sia per la sgrossatura sia per la finitura di materiali lapidei e per questo può essere di maggiore o minore grossezza.

SCALPELLO. Lo scalpello costituisce  uno degli strumenti più utilizzati; la sua caratteristica risiede nel bordo da taglio rappresentata da una superficie piatta, affilata perpendicolarmente alla linea dell’asta. Le sue lunghezze e le sue forme possono essere assai variabili in base al suo utilizzo.

SCALPELLO RICURVO o  UGNETTO : è caratterizzato dalla parte terminale che si ristringe rispetto all’asta e cambia direzione incurvandosi . Utile per particolari lavori su pietra o marmo.

SCALPELLO A TESTA TONDA o UNGHIETTO od ONGETTA o FERROTONDO : è un attrezzo con Il bordo della lama arrotondata,  simile alla forma di un dito. Questo strumento ha una sezione stretta che parte dal fusto dello scalpello che si allarga formando un ampio semicerchio.

__________15-CUNEIpoeve_e_scalpellini_

CUNEI : strumenti in ferro (ma anche di legno)  utilizzati in cava principalmente per il distacco di grossi massi di marmo o di pietra.

__________07_-08_-MAZZA_E_MAZZUOLOpoeve_e_scalpellini___________09-PUNCIOTTI_poeve_e_scalpellini_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MAZZA: attrezzo  costituito di norma da una lunga asta di legno lunga 60-80 cm alla cui estremità vi un martello di vario peso (da 1 a 4 kg) la cui testa è a sezione quadrata con un lato di 6-8 cm. Utilizzato in cava prevalentemente per la frantumazione dei blocchi marmorei.

MAZZETTA o MAZZUOLO è un attrezzo  di dimensioni minori e quindi più maneggevole con teste uguali adatto in qualsiasi operazione dove sia necessario percuotere un altro attrezzo (scalpello, gradina, punta, ecc.)

PUNCIOTTI o PONCIOTTI : sono dei grossi e tozzi scalpelli  più larghi nella parte superiore, poi diminuiscono di larghezza senza tuttavia arrivare a formare una punta. La loro azione trasmessa dalla mazza o dalla mazzetta si esercita sulle pareti laterali dei fori (“busi”) effettuati nella massa marmorea.

__________16-LEVA_E_LEVARINpoeve_e_scalpellini_

LEVA: strumento assai semplice costituito da un’asta di ferro di varia lunghezza e di vario spessore e di peso  utilizzata per alzare e/o smuovere in cava materiale marmoreo di una certa grandezza e peso.

LEVARIN: strumento somigliante alla leva ma più piccolo e più leggero. Così veniva chiamato nelle nostre cave.

__________03-GIANDINO_-_poeve_e_scalpellini___________04-GRADINA___________11-MARTELLINA_-_poeve_e_scalpellini_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIANDINO O GIANDIN è uno scalpello con la parte finale piuttosto tozza e serve per sgrezzare  superfici marmoree togliendo parti di una certa grossezza che risultino in eccesso.

SCALPELLO DENTATO O GRADINA. La gradina è uno scalpello dentato che serve per lavorare prevalentemente nel senso del piano più che nella profondità. Si ottiene una superficie a striature, a linee parallele. L’incrocio di vari solchi ottenuti con la gradina dà una superficie variata e di bell’effetto. 

MARTELLINA. La martellina è una specie di martello di ferro con teste a taglio dentato: da una parte denti più grandi e dall’altra più minute. Può essere usato al posto della gradina quando si tratta di lavori ordinari o di superficie piane.

__________10-TESTU_poeve_e_scalpellini___________12-SGRAFON-BROCCApoeve_e_scalpellini___________17-BOCCIARDApoeve_e_scalpellini_


 

 

 

 

 

 

 

TESTU’ : assomiglia ad una comune mazza solo che si differenzia in quanto una faccia è concava realizzando due spigoli taglienti più o meno lunghi mediante i quali si può ottenere un’azione precisa di distacco di una parte non necessaria in un un blocco marmoreo. Per ottenere questa azione è necessario che venga colpita da un’altra comune mazza. Sono necessarie due persone.

SGRAFON/BROCCA o PICA : strumento che può essere chiamato o con l’uno o con l’altro nome. La sua caratteristica è quella di terminare con teste in ferro temperato da una parte  larga terminante con denti più o meno lunghi (sgrafon), e dall’altra stretta terminante con una punta (brocca). Strumento che va impugnato a due mani. Utile in modo particolare nella sgrossatura. Viene indicato in altre località con il nome di “pica”.

BOCCIARDA : assomiglia ad un robusto mazzuolo di 2-3 kg di peso con estremità dentate rettangolari  con una superficie di percussione di circa 10-15 centimetri.

La sua azione sulla superficie marmorea determina un particolare effetto di tipo granuloso.

__________13-TRAPANO_AD_ARCHETTOpoeve_e_scalpellini___________14-TRAPANO_A_MANOVELLApoeve_e_scalpellini_


 

 

 

 

 

 

 

TRAPANO AD ARCHETTO O A VIOLINO: costituito da un’asta in legno con un pomello girevole, sulla quale veniva fissato un rocchetto. Sul rocchetto (o direttamente sull’asta se questo mancava) veniva avvolto il filo dell’archetto. Una  mano reggeva il pomello , l’altra faceva scorrere avanti e indietro l’archetto : l’asta girava in un senso e nell’altro. La punta che veniva alloggiata alla fine dell’asta girando avanti e indietro produceva il foro.

TRAPANI A MANOVELLA. Strumento in ferro con parte centrale sagomata ad U a manovella. Ad una estremità vi è un pomello in legno per la presa e all’altra estremità vi è un mandrino per accogliere la punta.  Una volta che si è montata una punta del diametro voluto e fatta combaciare sul punto da forare, con la mano sinistra si spinge sul pomello verso la foratura e con la mano destra si gira manovella. Si possono effettuare dei fori di non grandi dimensioni.

__________20-COMPASSI_ORDINARIpoeve_e_scalpellini_

__________21-COMPASSI_A_BRACCIA_poeve_e_scalpellini_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COMPASSI ordinari: possono essere in legno o in ferro e servono per determinare le distanze da un punto all’altro, per misurare e dividere linee, per descrivere circonferenze ed archi.

COMPASSI a braccia curve convergenti: servono per prendere le misure dei volumi delle forme. Si può ingrandire due o più volte la forma spostando conseguentemente la vite che ferma le due braccia.

__________22-RASPEpoeve_e_scalpellini___________23-SQUADREpoeve_e_scalpellini_

 

 

 

 

 

 

 

RASPE : sono lime in ferro  in svariate sagomature e forme. Possono essere usate a secco per levigatura di superfici  lapidee,  oppure  utilizzate  con  sabbia bagnata per una levigatura di finitura.

SQUADRE in legno o in ferro per tracciare linee parallele o perpendicolari.

__________18-RASCHIETTIpoeve_e_scalpellini___________19-LIVELLO_O_BOLLA_DARIA_poeve_e_scalpellini_

 

 

 

 

RASCHIETTO: è un doppio scalpello con fusto piegato ad esse le cui estremità smussate ed acciaiate sono piatte e taglienti. Si usa senza il soccorso del mazzuolo premendolo fortemente con le mano per togliere dalla superficie le più piccole irregolarità rimaste.

LIVELLO O BOLLA D’ARIA : importante per disporre orizzontalmente un piano di lavoro


4. L’ATTIVITA’ DI CAVA 

L’attività di cava consisteva nell’estrazione di blocchi di marmo, nella loro riquadratura e nel loro trasporto  fino alla bottega del paese. Lo scalpellino, un tempo, di solito era sempre presente in tutte queste attività fino alla lavorazione stessa. Alcuni – vedi più avanti – saliranno agli onori dell’arte per indubbie capacità scultoree. La maggioranza degli addetti fino all’epoca della meccanizzazione svolgeva una vita durissima, dall’alba al tramonto, spesso in condizioni ambientali estreme e di perenne rischio in particolare nelle fasi di estrazione e di trasporto, come vedremo. Per alcuni secoli per Pove e dintorni aleggiava una base sonora talora rapida, veloce ritmata dall’azione della punta sulla roccia o sul pezzo marmoreo da sbozzare, talora più lenta e più rumorosa dall’azione delle martelline o degli sgrafon e talora muta, rappresentata dai silenzi della sola pura forza delle braccia e dell’abbondante sudore. Per secoli abbiamo avuto due soli protagonisti l’uomo e la roccia. Ad essi la nostra perenne ammirazione.

A – L’ESTRAZIONE DEL MARMO A POVE

_--estraz_canalettapoeve_e_scalpellini_

_scainettopoeve_e_scalpellini_Le stratificazioni o i corsi delle rocce nelle cave di Pove in generale avevano spessori  che non superavano i 30-35 cm e ciò era sufficiente per la maggior parte delle richieste almeno nel periodo dell’ultima guerra e del dopoguerra. Nel gergo locale infatti  si indicavano gli strati  con nomi indicanti già gli utilizzi : ad es. strato delle “piasse” quelli di  6-7 cm che ovviamente servivano per la pavimentazione di superfici pubbliche o lo strato dei “scaineti” quello di circa 5 cm dal quale su traevano i pezzi per la pedata di un gradino (“scaineto”), mentre l’alzata poteva essere di altro materiale (disegno di Kobe Todesco). E’ verosimile  poi che nel Settecento e nell’Ottocento ove i corsi delle rocce avevano spessori molto più grandi gli scalpellini-tagliapietra abbiano usato cunei di legno o di ferro come avveniva in altre grandi cave (ne parlerò nel successivo capitolo).

La parte più laboriosa da staccare rappresentava quella a diretto contatto con la massa rocciosa, mentre lateralmente di solito una parte era già libera e dall’altra parte non si aveva grande difficoltà a trovare una fissurazione (assai frequente in queste rocce) come pure non difficoltosa era la parte inferiore a livello di una stratificazione quasi sempre segnalata dalla presenza da materiale argilloso pietrificato e quindi facile da staccare anche con la leva meno pesante chiamate “ levarin “(piccola leva in ferro).

Pertanto il distacco per questi corsi veniva affrontato eseguendo  delle strette cavità, delle  canalette, a forma di V,  con punta e mazzetta e una volta raggiunta la profondità desiderata della punta della V su questo punto colpivano ripetutamente sempre con punta e mazzetta finché il marmo si spaccava. (Todesco e Andolfatto). Per corsi più grandi si usava fare una serie di fori sempre a V ma più ampi e lunghi  e su questi venivano inseriti i punciotti che erano dei grossi cunei tronchi fatti così in modo tale che si inserissero nei fori senza arrivare al fondo della V e la loro azione attuata dai colpi della mazza interessava solo le pareti  laterali e non il  fondo. La forza sulle pareti determinata dai punciotti staccava il pezzo dalla parete (disegni di Kobe Todesco).

 

B – ESTRAZIONE DEL MARMO IN GENERALE : storia

L’estrazione del marmo e di altre pietre fino al Settecento è stata esclusivamente manuale, affidata alla sola forza delle braccia dei cavatori, in pratica uguale a quella degli antichi romani, e come questi, non esistendo altri sistemi di estrazione, potevano solo utilizzare le lesioni naturali, le fratture, e i punti deboli dei piani di sedimentazione della roccia per introdurvi a colpi di mazza cunei sempre più grossi e lunghi fino al distacco dei blocchi di varia misura e qualità.

_______vestigia_del_passatoNelle cave la tecnica che permetteva il distacco di un blocco di pietra dall’ammasso roccioso (dal banco) oltre che di origini antiche, come detto, era molto lunga e molto molto faticosa.  In base alle caratteristiche della roccia e quindi delle stratificazioni, si sceglieva dove effettuare le linee di frattura: in generale  la massa rocciosa da  staccare, pulita sul fronte e sulla parte superiore, veniva isolata effettuando tre tagli uno a monte e due ai fianchi. Con la punta  e la mazza  si realizzavano le cugnare [immagine a lato](o cuniere o anche scarséle) ossia dei fori di dieci-venti centimetri (ma che potevano essere ancora di più a seconda dello strato della pietra) a forma di cuneo (ricordando l’antica tecnica romana chiamata caesura o “tagliata”) . In questi incavi, con l’aiuto di una mazza di sei-sette chili circa, si facevano entrare a forza dei cunei di legno (che poteva essere di fico, o di gelso o di faggio o di rovere ben secchi )  oppure  di metallo: I cunei di legno venivano utilizzati prevalentemente nelle linee di frattura esistenti (litoclasti) e nelle linee di demarcazione dei corsi: venivano bagnati di acqua,  questa faceva così  aumentare di volume il legno eciò causava il distacco della pietra.  Nelle altre zone si utilizzavano i cunei di metallo, tra questi e la pietra  si ponevano della lamine metalliche (foje), più lunghe del cuneo stesso, che servivano ad impedire la frantumazione dei lati interni dei buchi; i cunei erano poi percossi con la mazza fino a provocare il distacco del blocco che poteva avvenire anche dopo due giorni di lavoro.  (Viene riportato come ci voleva quasi un’ora di lavoro per staccare il blocco di 2-3 mm!).

______varata_con_polv_ere_ok_

Questa attività estrattiva rimase completamente manuale almeno fino al ‘700, quando iniziarono le prime estrazioni con l’uso di esplosivo,  in particolare con la polvere nera o polvere da sparo o polvere pirica. L’uso dell’’esplosivo trovò inizialmente ampi consensi in quanto abbatteva enormi quantità di roccia in tempi relativamente brevi. L’esecuzione di questa tecnica era attuata dai “fuochini”, uomini con grande esperienza nel portare a termine le varie operazioni. Innanzitutto realizzavano un foro lungo e stretto nella massa marmorea da abbattere mediante una lunga barra di ferro con punta forgiata a scalpello;  questa veniva sostenuta da alcuni operai mentre veniva fatta penetrare nel marmo mediante o rotazione manuale o percussione attuata sulla estremità libera con una mazza di ferro. Realizzato il foro profondo in genere qualche metro, vi si introduceva la polvere nera nella quantità necessaria, si applicava la miccia, si chiudeva il foro con terra stracci e altro per contenere l’energia dello scoppio il più possibile all’interno della massa rocciosa.  Quindi si accendeva la miccia e si attendeva il risultato. Una variante che produceva risultati colossali veniva detta “varata”  e differiva da quella ordinaria per la formazione sul fondo del lungo foro  di una cavità utilizzando secondo le varie esperienze o l’acido muriatico o l’acido cloridrico fatto arrivare sul fondo con un tubo: qui agendo sul calcare corrodendolo formava una cavità a forma di fiasco di ampiezza tale da poter consentire l’azione anche di 300/400 kg di polvere nera. L’esplosione causava sì l’abbattimento di grandi porzioni di roccia ma comportava anche il difetto di produrre una enorme quantità dì materiale dì scarto che ingrossava a dismisura i “ravaneti” cioè la zona del materiale di scarto che realizzavano dalla cava verso il basso una enorme discesa di materiale lapideo non utilizzato e non utilizzabile.

Si dovette aspettare fino alla fine dell’ ‘800 perché ci fosse una vera rivoluzione nella tecnica estrattiva e ciò avvenne per le invenzioni dapprima del filo elicoidale e poi della puleggia penetrante. Infatti nel 1889 all’Esposizione Internazionale di Parigi fu presentato un impianto con filo elicoidale  che consentiva il taglio di grandi dimensioni marmoree direttamente al monte. Nel 1897 fu inventata da Monticolo la puleggia penetrante.  

impianto_filo

L’impianto consisteva in un filo di circa 5 mm dì diametro, formato dall’avvolgimento a forma elicoidale di tre piccoli cavi d’acciaio, disteso amezzo di una serie di pulegge di rinvio montate su tubi di ferro (“poteaux”) sull’intera area di cava. Vi era poi un motore elettrico (cabina motore) che attraverso una frizione collegata a una serie di pulegge montate su un telaio fisso, imprimeva il movimento al filo. Nella sua corsa il filo veniva fatto passare, solo per una minima parte della sua lunghezza, a contatto della superficie rocciosa da tagliare a mezzo di altre due pulegge installate su montanti cui era consentito un movimento discendente. Il taglio avveniva per la discesa progressiva nella massa rocciosa della parte di filo compreso tra i due montanti. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare non era il filo che incideva e quindi tagliava la roccia: la sua funzione era solo quella di trasportare nel solco elicoidale determinato dall’avvolgimento dei tre cavi che lo costituivano, una miscela abrasiva di acqua e sabbia silicea che veniva fatta costantemente colare sul filo a contatto della roccia. Ciò che determinava il taglio della roccia quindi, era solo la sabbia che, strusciando sulla superficie marmorea, ne abradeva minutissime particelle immediatamente evacuate dall’acqua della miscela. 

_____circuito_e_filo_La principale innovazione apportata a questo impianto dopo la sua comparsa (dopo sei anni dalla presentazione)  nelle cave di Carrara fu ideata dall’Ing. Monticolo nel 1897 e consisteva in un accorgimento che ne aumentava notevolmente le potenzialità di taglio. Infatti col sistema prima descritto era impossibile eseguire tagli senza prima aver fatto lateralmente alla bancata da tagliare, lo spazio necessario al passaggio dei montanti che portavano le pulegge mobili: ciò obbligava ad aprire dei profondi canali con grande dispendio di tempo ed energia. L’Ing. Monticolo ideò allora una “puleggia penetrante” (immagine a dx) in grado, oltre che di portare il filo per il taglio, anche di--_puleggia384farsi strada direttamente nella roccia, previa esecuzione di un solo foro guida necessario al passaggio del supporto della puleggia. Il foro veniva realizzato facilmente con la cosiddetta “macchinetta”, una macchina perforatrice in grado di eseguire nella massa rocciosa fori di grande diametro fino a molti metri di profondità. La “Puleggia Penetrante Monticolo”, montata al posto di entrambi i montanti, permetteva così di realizzare anche i cosiddetti “tagli ciechi” cioè direttamente nella bancata vergine senza dover ricorrere a nessun sbancamento.

Come si può capire l’installazione dì un impianto di filo elicoidale non era cosa semplice (vedi immagini a sx). La sistemazione del filo ad esempio, chiamata in gergo lastesa” ed eseguita dal “filista”, un operaio specializzato addetto a questa particolare funzione, richiedeva tempo e doveva tener conto di molti fattori di grande importanza: ad es.  la lunghezza dell’intero circuito (che poteva essere anche di 2 Km) doveva essere calcolata in base alle superfici di taglio che si volevano realizzare in modo da evitare un consumo troppo veloce del filo e quindi per ridurre la frequenza di reinstallazione di un nuovo circuito. Inoltre un’installazione costituiva in un certo senso una struttura fissa che non consentiva una grande versatilità nella programmazione della escavazione e doveva quindi essere prevista in modo conveniente. Un altro grosso problema, anche economico, era rappresentato dalla necessità di disporre di grandi quantità di sabbia silicea. La miscela di acqua e sabbia doveva poi essere calibrata esattamente sia nella composizione che nella portata. 

Al giorno d’oggi il filo elicoidale tradizionale è stato sostituito dal filo diamantato che assicura un taglio molto più veloce; lo schema dell’impianto invece rimane quello tradizionale.

C – SPOSTAMENTO E TRASPORTO DEL MARMO ESTRATTO A POVE

Come già detto, le pietre richieste dalle attività edili o funerarie non avevano dimensioni particolarmente grandi e  quindi anche il materiale estratto non richiedeva particolari accorgimenti per farlo arrivare al piano di cava per la prima lavorazione. Veniva di norma fatto scivolare piano piano su quella specie di piano inclinato, di solito non molto lungo, che nel tempo si creava dai pezzi di scarto o di rottura sempre presenti in questa attività.

Una volta qui arrivati iniziava già la sgrossatura ed eventualmente anche la sagomatura. Vedremo più avanti le varie operaziomi che si attuavano nei confronti delle varie tipologie richieste sia per la edilizi sia per l’ornato.

 

_______SLITTApoeve_e_scalpellini_

-----mulattiera_pove349Una volta che si aveva ottenuto  i pezzi da trasportare si caricavano su una specie di slitta  (la “slita”) (vedi disegno a lato di Kobe Todesco), un po’ simile a quella che utilizzavano i valligiani per trasportare a valle i carichi di fieno.  Questa slitta è fatta solo di legno, senza nessun chiodo, e le varie parti (sci e traversine) venivano tra loro incastrate e tenute insieme da dei perni sempre di legno chiamate “caece o caice” (= caviglie) . La slitta veniva tirata a strascico mediante una bandoliera di cuoio . L’insieme di questo mezzo di trasporto non era per nulla rigido, anzi manifestacva una certa flessibilità quando si muoveva su sentieri sconnessi. Il timone consentiva di segiuire la giusta via.  Talora per carichi particolari poteva venir trascinata da un  paio di buoi. La via di trasporto (detta anche via di lizza)  era rappresentata dalle mulattiere che in genere non avevano tragitti particolarmente scoscesi ed in alcuni tratti (immagine) è ancora possibile vedere i segni lasciati sulla pietra dal passaggio di queste slitte. Pertanto il guidatore che conosceva bene la strada e le zone di maggior difficoltà  riusciva a controllare agevolmente la velocità e la direzione. In casi di trasporti eccezionali o per condizioni particolari del percorso poteva essere utile collegare la slitta con funi ad  un albero oppure ad un “levarin” infisso nella stessa pietra della mulattiera  in fori appositamente eseguiti: le corde venivano liberate a poco a poco in modo da superare e lasciato andare lentamente per superare la difficoltà senza danni.

D – SPOSTAMENTO E TRASPORTO DEL MARMO ESTRATTO IN ALTRE CAV E

Nelle cave dove venivano staccati grossi blocchi di marmo, dopo che questo si era staccato si inseriva nella parte inferiore  il piede di una grossa leva del peso di oltre 30 kg che mossa contemporaneamente da 5-6 persone sollevava il pezzo. Una volta sollevato si inserivano dei rulli di legno, generalmente di faggio, e lo si faceva scivolare facilitati anche dalla inclinazione naturale presente.

_BINDA_-_OK_-_ATTREZZI_-_BINDA_CHE_ALZA_E_SPOSTA_IL_MARMO_Il sollevamento del blocco poteva avvenire anche per mezzo di una binda (una specie di cric) (immagine a sx) dapprima di legno e poi in ferro.

Veniva così ribaltato sul un letto di detriti  della cava in modo da attenuarne l’urto.

Dal luogo di estrazione sino alla “piazza” della cava il blocco estratto veniva trasportato di solito tramite argani con rulli di legno, disposti a spina di pesce e insaponati per limitare l’attrito tra pietra e legno. Qui ,depurato delle parti lesionate e difettose,  veniva ridotto in blocchi minori quadrati o a parallelopipedi (riquadratura) per essere poi trasferiti a valle, con maggiore facilità.

In generale il trasporto dei blocchi dalla cava ai laboratori poteva essere di due tipi a seconda della distanza e delle strade presenti: 

 – mediante carri di legno con ruote in ferro trainati da buoi dove lo consentivano i collegamenti tra cava e paese di lavorazione

– mediante scivoli o canali, detti vie di lizza. Si preparava_____lizzatura_andreauddapprima la carica (cioè i blocchi da trasportare) un po’ rialzata da terra su piccoli massi o cumuli di detriti. La carica, che variava dalle 15 alle 20 tonnellate, doveva essere sistemata con cura per non aver problemi nella discesa. Sotto ogni blocco si facevano scorrere delle piccole travi di legno, disposte trasversalmente alla direzione del movimento, e al di sopra di queste due o tre tronchi, di solito ricavati da faggio, con punta rialzata o ricurva (lizze). Inserite le lizze, i blocchi dovevano essere legati accuratamente con cavi di canapa. La via lungo la quale il blocco percorreva la discesa era fiancheggiata da pali corti e molto solidi, fatti in legno o in pietra, piantati direttamente nel terreno (dove possibile) oppure in buchi fatti in grossi massi interrati, rinforzati con zeppe a forme di cuneo che aumentavano la stabilità , posti a distanza di 200-300 metri l’uno dall’altro,LIZZA_-_MOLLITORI_attorno ai quali si avvolgevano le tre o le quattro funi di canapa (e dopo il 1920 sostituite dai cavi del filo elocoidale) di ritenuta ( a seconda del carico e della pendenza), due delle quali dovevano essere sempre in tensione. Durante il movimento, il capo lizza che stava davanti alla carica ordinava agli addetti alle funi di allentare o di stringere in modo che il movimento fosse fluido e omogeneo durante il quale poi  le travi trasversali che  nel movimento venivano a trovarsi dietro il blocco, insaponate nelle zone di appoggio, venivano tolte e portate avanti. Così il blocco scivolava  fino a raggiungere la meta stabilita. Per tutte queste operazioni servivano non meno di sei lavoratori e varie ore di duro lavoro che non era scevro da pericoli soprattutto per la rottura delle funi o per un repentino cambio di pendenza .

Giunti in paese i blocchi erano trasportati su bassi carri nei vari laboratori.


E – LAVORAZIONE DEL MARMO ESTRATTO A POVE

Sgrezzatura

E’ normale che quanto è stato estratto, non sia perfetto: anzi presentava di regola delle  rugosità, sporgenze, e altre varie irregolarità, spesso riferibile alle linee di sedimentazione. La sgrezzatura consisteva proprio nel togliere le irregolarità più grossolane, le parti lesionate o inadatte per una certa lavorazione, ecc. e di solito avveniva già nella “piazza” della cava dopo la estrazione.

Gli strumenti più utilizzati erano il Testu’ per delle sgrezzature discretamente voluminose, ma anche lo sgrafon/brocca soprattutto per parti sporgenti e anche punta e mazzetta per irregolarità più modeste.


Squadratura, spianatura e rifiniture

Era fondamentale dare l’impostazione del pezzo da lavorare in base alle dimensioni richieste e, poiché di norma il materiale estratto aveva bisogno di aggiustamenti  per varie irregolarità  delle superfici, in particolare la superficie riferibile al piano di cava, era necessaria prima di tutto una squadratura, che consisteva nel portare i vari lati del blocco allo stesso livello.

Richiedeva varie operazioni: dapprima si sceglieva il lato con il piano più basso esistente (per ovvi motivi) e su questo lato, dopo aver segnato una linea retta,  con mazzetta e scalpello si effettuava una fascia di qualche centimetro allo stesso livello della linea tracciata, e lo stesso veniva effettuato su un  lato accanto.(vedi le immagini a lato  di Kobe Todesco). Eseguite queste fasce su due lati, su un lato già allineato di poneva una pertica di legno e un’altra pertica veniva posta sul lato opposto che non era ancora stato trattato. Sempre con mazzetta e scalpello si toglieva materiale in eccesso finchè  ad occhio le due pertiche non venivano a trovarsi allo stesso livello. Questa operazione veniva poi eseguita per l’altro lato ancora da trattare.

Una volta allineato tutto il contorno di una superficie,  si iniziava a togliere il materiale in eccesso all’interno di questo allineamento e ciò veniva chiamata spianatura). Le parti più alte venivano trattate con punta e mazzetta, poi con lo sfrafon o con la martellina prima grossa poi media e poi fine e da ultima la bocciarda fine. 

Con queste operazioni una superficie era squadrata, spianata e anche rifinita.  A seconda dell’utilizzo queste operazioni potevano essere richieste anche per altri lati del pezzo marmoreo.

Per la levigatura poi si utilizzava uno strumento detto Orso (vedi oltre).

Kobe Todesco ha voluto realizzare le principali rifiniture per materiali del settore edilizio: con l’ausilio di punta e mazzetta (spuntà), con l’aiuto di gradina e mazzetta( gradinà) e con l’aiuto della parte appuntita della brocca (broccà) 

x_internet_-_003_-_kobe_-_SPUNTATURA260x_internet_-_001_-_kobe_-_GRADINA261

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Potevano richiedersi anche altre lavorazioni per ottenere risultati più plastici, quali quelli ottenuti con la martellina o con la bocciarda, qui sotto evidenziati.

x_internet_-_004_-kobe_-_FINE_MARTELLINA263x_internet_-_005_-_kobe_-_MEDIO_MARTELLINA264_copia

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Levigatura e lucidatura

La maggior parte dei pezzi per l’edilizia era sufficiente quanto ottenuto o con la spuntatura o con la martellinatura o con la bocciardatura.

Ma poteva essere stato richiesto anche la levigatura e la lucidatura.

Per la levigatura venivano utilizzati materiali abravisi. Abrasivo (dal lat. ab–rado, “raschio via“) è detto disostanza che è in grado di raschiar via, di portar via, di asportare da una superficie (nel nostro caso dimarmo) uno strato più o meno profondo. Le sostanze più utilizzate erano lo smeriglio e la pietra pomice, e e anche (vedi oltre) la farina fossile. Per la lucidatura in genere si utilizzava l’acido ossalico.

_________smeriglio_e_pomicepoeve_e_scalpellini_

Lo smeriglio è un minerale di color nero, varietà granulare del corindone, costituito da ossido di alluminio con percentuali più o meno elevate di ossido di ferro, ematite e magnetite. La sua azione dipende anche dalla composizione e quindi viene distinto in grana grossa, media e fine a seconda degli effetti voluti : da una levigatura più   grossolana iniziale fino ad una azione finale  più dolce.

La pietra pomice è una roccia magmatica effusiva, leggerissima per la sua elevata porosità, dovuta alla formazione di bolle di gas (come una schiuma) all’interno della matrice vetrosa. Viene impiegata dopo lo smeriglio.  La sua azione abrasiva è più delicata.

____LUCIDATURA_A_ORSO336

Per la levigatura di piccoli pezzi si usava il raschietto per le alterazioni più grossolane, quindi smeriglio con grana grossa, media e fine,  e da ultimo una levigatura con pietra pomice naturale.

Quando però la superficie era molto estesa si metteva in campo uno strumento chiamato Orso (vedi i disegni di Kobe Todesco qui a lato). Questo strumento era costiuito da un robusto parallepipedo di legno. La superficie che doveva--_ORSO_INFERIORE387entrare in contatto con il marmo era attrezzata con delle grosse strisce di ferro 3,0 x 3,0 di dimensioni, che venivano ancorate con dei chiodi sulle facce laterali. Tali strisce  erano distanziate tra loro da uno spazio vuoto sempre di 3 cm. Sulla superficie da trattare si poneva della sabbia silicea di color rosso detta anche farina fossile ad azione abrasiva, e acqua. Sulla faccia superiore dell’orso, dove spesso si aggiungevano dei pesi per aumentarne l’azione, vi era collegata un’asta in modo da poterlo trascinare su e giù nelle varie direzioni. Tale trattamento durava anche ore ed ore. Alla fine la superficie era levigata.

Per la lucidatura per le suddette superfici così ottenute bastava una pietra pomice finissima e/o un passaggio di acido ossalico per renderle luminose.

Se si dovevano effettuare pezzi a scopi ornamentali di solito vi erano quattro passaggi qui di seguito raffigurati (campioni fornitimi da Kobe Todesco):

A – una finitura con scalpello a lama fine

B – una levigatura con smeriglio a grana grossa, poi a grana media e a grana fine

C – una levigatura con pietra pomice naturale

D – una lucidatura con acido ossalico

KOBE_-_01_-_FINITURA_CON_SCALPELLO_-_DSCN0313

KOBE_-_02_-_LEVIGATURA_CON_TIPI_SMERIGLIO_-_DSCN0314

KOBE_-_03_-_LEVIGATURA_CON_PIETRA_POMICE_NATURALE_-_DSCN0315

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RINGRAZIAMENTI  PARTICOLARI

A Simone Zanchetta della “Zamchetta Marmi” di Pove che ha avuto la pazienza di “iniziarmi” al grande e interessantissimo mondo delle pietre e dei marmi.

Al Comune di Pove, nella persona del Sindaco Orio Mocellin e della bibliotecaria sig.ra Fiorella,  che mi hanno  concesso ampia disponibilità nell’ambito del Museo dello Scalpellino e della documentazione presente.

A “Kobe” Giacomo Todesco, ragazzo del “1927”, ancora sempre presente con passione nella “Todesco Fratelli Artistica Marmi” di Solagna, che ha accompagnato i suoi ricordi con precisi disegni di attrezzi, di attività, di campioni di marmi, campioni di lavorazioni di finitura e di lucidatura, che mi hanno permesso di capire e di offrire a tutti questi argomenti con grande chiarezza. Il suo prezioso aiuto è stato fondamentale nella realizzazione di questo lavoro.

Ringrazio inoltre Natalino Andolfatto, Flavio Marcadella, Toni Marchesini, Gabriele Farronato : in vario modo mi hanno dato suggerimenti, documenti, indicazioni per rendere più completo questo lavoro.

 

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